giovedì 30 aprile 2009

Moderatevi voi

Tra la grammatica e il bon ton. Da anni, sui muri di Torino, compaiono periodicamente dei manifesti con una scritta perentoria: MODERATI. Il maiuscolo non basta a rendere l'idea di quanto spesse e minacciose siano le lettere di quella scritta, che anche viste da lontano intimidiscono come un esercito di buttafuori schierati. Quando ci passavo davanti, le prime volte, mi sembrava uno di quei messaggi millenaristi del tipo "Zeus ti vede" (cfr. Carlo Pestelli), e mi capitava di arrestarmi lì di fronte a riflettere su quando e come mi fossi comportato in maniera tanto sfrenata da giustificare un richiamo così energico da parte di qualcuno. Ci ho impiegato parecchio tempo a capire che quella scritta non era un'esortazione rivolta a me e agli altri peccatori, bensì il manifesto di un partito politico, i "Moderati" appunto, compagine policroma che riunisce transfughi di quasi tutti i partiti dell'arco parlamentare, da Rifondazione a Forza Italia.
Altro non saprei dirvi sulla loro collocazione politica, salvo che in Piemonte stanno col centrosinistra e in Puglia col centrodestra.
L'unica certezza che ho sul loro conto è che non conoscono la grammatica italiana, oppure che sono dei maleducati. Per evitare ogni ambiguità sarebbe bastato che usassero l'accento o almeno un carattere più piccolo. Non avendo fatto né una cosa né l'altra, viene da pensare che l'abbiano scritto così apposta. E che siano proprio loro i primi a doversi moderare.

mercoledì 29 aprile 2009

trapassato

Nel senso di lontano, remoto, defunto. In grammatica il trapassato è più di un passato: è un passato che viene prima di un altro passato, è insomma una specie di nonno del presente. Nell’indicativo esistono due tipi di trapassato – il trapassato prossimo (io avevo cominciato) e il trapassato remoto (io ebbi finito). Se consultate una qualunque grammatica, troverete ancora gli specchietti con le coniugazioni complete, che infatti a scuola si studiano regolarmente. Purtroppo, come succede a molti nonni, anche i trapassati non godono di una salute ferrea, specie quello remoto. Anzi, si direbbe che quest’ultimo si stia lentamente consumando, dimenticato in quella specie di ospizio della lingua che è, per i molti che non sono abituati a frequentarla, la letteratura.
Per amor di completezza, vorrei ricordare che esiste un trapassato pure nel congiuntivo, che si usa per esempio nel periodo ipotetico («se avessi potuto sarei venuto»). Anche lì, tuttavia, i parlanti tendono a preferirgli l’imperfetto («se potevo venivo») che a rigor di grammatica sarebbe appunto un po’ imperfetto, e che tuttavia, forse grazie alla sua duttile indeterminatezza, gode di una popolarità sempre maggiore.
Il trapassato, però, non è soltanto un tempo verbale. È anche uno stato dell’anima, una specie di senilità emotiva precoce, un’incapacità endemica di declinare le cose al futuro. Trapassato è chi dice “ai miei tempi”, come se “quei tempi” fossero il baricentro inamovibile della storia e non un semplice fotogramma nel continuum delle vicende umane. Trapassato è chi nell’affrontare la crisi tira in ballo ora Keynes, ora Roosevelt ora Reagan, dimenticando che nessuno di costoro avrebbe neppure immaginato una perversione finanziaria come i subprime. Trapassato è chi fa paragoni tra l’Onda e il Sessantotto, negando ai giovani che protestano contro la riforma scolastica e universitaria una sacrosanta identità autonoma. Trapassato (a volte, anzi, addirittura “stra-passato”) è Facebook, botola tecnologica che dà accesso a vecchi amici, vecchie foto e vecchie emozioni che a un certo punto della nostra esistenza avevamo portato in soffitta e che adesso, chissà perché, abbiamo deciso di far riemergere sullo schermo del computer.
Non so se ci avete fatto caso, ma mentre la crisi incalza e il futuro arranca, uno dei prodotti di consumo più gettonati della modernità è diventato il passato, anzi il trapassato. Lo offrono le aziende, le tivù e naturalmente Internet (via Facebook, Youtube e siti per nostalgici), e non è la solita operazione nostalgia o l’ancor più solito – e ricorrente – revival modaiolo. Stavolta il passato vende perché c’è domanda. Una domanda crescente di quelli (soprattutto 30/40 enni) che si commuovono davanti alla nuova 500 perché somiglia tanto alla vecchia, che creano community per capire che fine ha fatto «Supergulp», che caricano e guardano su youtube le puntate di Portobello o dell’Altra Domenica, che perdono il senno di fronte alla replica di una maglietta dell’Inter di Herrera, che cercano il significato del proprio vissuto nel catalogo di rughe e stempiature di Facebook.
Del resto è normale guardare al passato se di fronte a sé non si riesce più a intravedere il futuro. Strano solo che, in questa overdose di passato, nessuno usi più il tempo trapassato.

sabato 25 aprile 2009

Val più la pratica - premessa

Sarà anche vero, come si sente dire in giro, che l’italiano si sta imbarbarendo, che gli incolti lo inquinano, che l’inglese lo corrompe, che i giornali lo mortificano e che la televisione lo umilia, ma non c’è al mondo esercito più feroce e agguerrito di quello che ogni giorno – dalle cattedre scolastiche, dalle rubriche della posta su giornali e riviste, e ultimamente anche dai blog – presidia la frontiera che separa la lingua «buona» dalla lingua «cattiva». Una legione di insegnanti, veteropuristi e neocruscanti impegnati a vario titolo in battaglie quotidiane contro i tanti subdoli nemici che metterebbero a repentaglio l’integrità della lingua di Dante: il che polivalente, lui e lei usati come soggetti, le «dislocazioni», gli anacoluti, la scomparsa del congiuntivo, la punteggiatura approssimativa, l’eccesso di anglicismi, le ripetizioni, e molto altro ancora. A ispirare e a sorreggere queste devote sentinelle di una lingua «buona», la fede cieca e assoluta nelle virtù salvifiche della Grammatica, entità quasi metafisica che tutto spiega, tutto classifica e tutto dispone.
In realtà la grammatica – con la minuscola – spiega molto ma non tutto, classifica in maniera non sempre soddisfacente, e quanto al disporre, non è che la gente le dia sempre poi così retta. I linguisti in qualche modo se ne sono fatti una ragione e lavorano con impegno per rendere meno imperfette le loro teorie e le loro descrizioni; sono le persone comuni a non rassegnarsi e a invocare l’intervento di qualcuno o qualcosa che metta le ganasce a chi si ostina a oltraggiare la lingua. Questo libro, in cui si cerca di ridefinire il concetto di errore, di aggiornare la nomenclatura e la dottrina grammaticale più obsolete, e soprattutto di riabilitare, attraverso gli esempi, alcune presunte devianze dalla norma, è diretto soprattutto a loro. Nella speranza che imparino a prendere meno sul serio la grammatica, e soprattutto se stessi.

Perché questo blog?

Qualcuno - non ricordo chi e in quale circostanza - mi ha spiegato una volta che la grammatica è un po' come un guinzaglio della lingua: serve a non farla scappare, a disciplinarla, a frenarne il temperamento irriducibilmente anarchico. Bella immagine, ho pensato, figurandomi una donna energica e autoritaria nell'atto di resistere agli strattoni di un cane sovraeccitato mentre questo cerca di trascinarla - lei e i suoi tacchi - nel fango.
Ora, anche se personalmente non amo sporcarmi le mani, so che il richiamo del fango, per i cani e per la lingua, è irresistibile. Possiamo educarli, incatenarli, al limite anche punirli, ma il giorno in cui li lasciamo soli (la lingua e i cani) è molto probabile che andranno a rotolarsi nella melma felici e spensierati. Non solo fa parte della loro natura, ma testimonia la loro vitalità. Un cane che non puzza non è un vero cane. Una lingua che non si sporca non è una vera lingua.

Che fare dunque del guinzaglio? Buttarlo via? Non esageriamo. Diciamo che si consiglia di usarlo solo quando serve, quando cioè si porta la lingua a spasso nei salotti più esclusivi o tra le pagine scritte di un libro. Per il resto, basta assicurarsi che non abbai troppo, e soprattutto che non morda.

Tutto questo lungo preambolo per introdurre il blog, che è un po’ il prolungamento del libro di cui vedete la copertina qui a fianco. Un libro in cui si racconta di una grammatica senza tacchi e senza guinzaglio. Un libro in cui si spiega che chi abbaia davvero sono i puristi della domenica, i “neo-crusc” che sbraitano perché vorrebbero vedere la lingua sempre candida e disinfettata. Un libro in cui vengono affrontate decine di argomenti ma ne vengono tralasciate centinaia. Il presente blog serve a colmare questa lacuna. E a scatenare il dibattito.