sabato 25 aprile 2009

Val più la pratica - premessa

Sarà anche vero, come si sente dire in giro, che l’italiano si sta imbarbarendo, che gli incolti lo inquinano, che l’inglese lo corrompe, che i giornali lo mortificano e che la televisione lo umilia, ma non c’è al mondo esercito più feroce e agguerrito di quello che ogni giorno – dalle cattedre scolastiche, dalle rubriche della posta su giornali e riviste, e ultimamente anche dai blog – presidia la frontiera che separa la lingua «buona» dalla lingua «cattiva». Una legione di insegnanti, veteropuristi e neocruscanti impegnati a vario titolo in battaglie quotidiane contro i tanti subdoli nemici che metterebbero a repentaglio l’integrità della lingua di Dante: il che polivalente, lui e lei usati come soggetti, le «dislocazioni», gli anacoluti, la scomparsa del congiuntivo, la punteggiatura approssimativa, l’eccesso di anglicismi, le ripetizioni, e molto altro ancora. A ispirare e a sorreggere queste devote sentinelle di una lingua «buona», la fede cieca e assoluta nelle virtù salvifiche della Grammatica, entità quasi metafisica che tutto spiega, tutto classifica e tutto dispone.
In realtà la grammatica – con la minuscola – spiega molto ma non tutto, classifica in maniera non sempre soddisfacente, e quanto al disporre, non è che la gente le dia sempre poi così retta. I linguisti in qualche modo se ne sono fatti una ragione e lavorano con impegno per rendere meno imperfette le loro teorie e le loro descrizioni; sono le persone comuni a non rassegnarsi e a invocare l’intervento di qualcuno o qualcosa che metta le ganasce a chi si ostina a oltraggiare la lingua. Questo libro, in cui si cerca di ridefinire il concetto di errore, di aggiornare la nomenclatura e la dottrina grammaticale più obsolete, e soprattutto di riabilitare, attraverso gli esempi, alcune presunte devianze dalla norma, è diretto soprattutto a loro. Nella speranza che imparino a prendere meno sul serio la grammatica, e soprattutto se stessi.

1 commento:

  1. Caro Andrea, ho letto sia questo che il tuo ultimo libro, e desidero farti i miei più sinceri complimenti per entrambi. Ti dò del tu, non già per l’Anagrafe a me sfavorevole, ma perché tu stesso mi autorizzi a farlo, quando in questo libro scrivi che il “lei” lo vorresti soltanto da coloro che “non sono d’accordo con le cose che scrivi”: invece io sono d’accordo, appunto.
    Semmai ti inviterei, prossimamente, a scrivere la tua sulle incertezze che ruotano intorno al vari accordi del participio con essere e avere, per dirla in breve e male.
    Mi spiego meglio con alcuni esempi: ho letto i libri o ho letti i libri? ho aperto le finestre o ho aperte le finestre? la casa che ho comprato o la casa che ho comprata? il suo discorso è stato una sorpresa o il suo discorso è stata una sorpresa? ecc.
    Gli esempi suddetti li ho ripresi dall’Italiano di Luca Serianni, ma insomma, per mia pigrizia, diciamo pure. Anzi, me ne è venuto in mente uno adesso: ho comprato dei Bot o ho comprati dei Bot? Anche se su questo non avrei dubbi: suona decisamente meglio “ho comprato”.
    Con molta stima e un saluto cordiale,
    Gabriele Zani

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