mercoledì 29 aprile 2009

trapassato

Nel senso di lontano, remoto, defunto. In grammatica il trapassato è più di un passato: è un passato che viene prima di un altro passato, è insomma una specie di nonno del presente. Nell’indicativo esistono due tipi di trapassato – il trapassato prossimo (io avevo cominciato) e il trapassato remoto (io ebbi finito). Se consultate una qualunque grammatica, troverete ancora gli specchietti con le coniugazioni complete, che infatti a scuola si studiano regolarmente. Purtroppo, come succede a molti nonni, anche i trapassati non godono di una salute ferrea, specie quello remoto. Anzi, si direbbe che quest’ultimo si stia lentamente consumando, dimenticato in quella specie di ospizio della lingua che è, per i molti che non sono abituati a frequentarla, la letteratura.
Per amor di completezza, vorrei ricordare che esiste un trapassato pure nel congiuntivo, che si usa per esempio nel periodo ipotetico («se avessi potuto sarei venuto»). Anche lì, tuttavia, i parlanti tendono a preferirgli l’imperfetto («se potevo venivo») che a rigor di grammatica sarebbe appunto un po’ imperfetto, e che tuttavia, forse grazie alla sua duttile indeterminatezza, gode di una popolarità sempre maggiore.
Il trapassato, però, non è soltanto un tempo verbale. È anche uno stato dell’anima, una specie di senilità emotiva precoce, un’incapacità endemica di declinare le cose al futuro. Trapassato è chi dice “ai miei tempi”, come se “quei tempi” fossero il baricentro inamovibile della storia e non un semplice fotogramma nel continuum delle vicende umane. Trapassato è chi nell’affrontare la crisi tira in ballo ora Keynes, ora Roosevelt ora Reagan, dimenticando che nessuno di costoro avrebbe neppure immaginato una perversione finanziaria come i subprime. Trapassato è chi fa paragoni tra l’Onda e il Sessantotto, negando ai giovani che protestano contro la riforma scolastica e universitaria una sacrosanta identità autonoma. Trapassato (a volte, anzi, addirittura “stra-passato”) è Facebook, botola tecnologica che dà accesso a vecchi amici, vecchie foto e vecchie emozioni che a un certo punto della nostra esistenza avevamo portato in soffitta e che adesso, chissà perché, abbiamo deciso di far riemergere sullo schermo del computer.
Non so se ci avete fatto caso, ma mentre la crisi incalza e il futuro arranca, uno dei prodotti di consumo più gettonati della modernità è diventato il passato, anzi il trapassato. Lo offrono le aziende, le tivù e naturalmente Internet (via Facebook, Youtube e siti per nostalgici), e non è la solita operazione nostalgia o l’ancor più solito – e ricorrente – revival modaiolo. Stavolta il passato vende perché c’è domanda. Una domanda crescente di quelli (soprattutto 30/40 enni) che si commuovono davanti alla nuova 500 perché somiglia tanto alla vecchia, che creano community per capire che fine ha fatto «Supergulp», che caricano e guardano su youtube le puntate di Portobello o dell’Altra Domenica, che perdono il senno di fronte alla replica di una maglietta dell’Inter di Herrera, che cercano il significato del proprio vissuto nel catalogo di rughe e stempiature di Facebook.
Del resto è normale guardare al passato se di fronte a sé non si riesce più a intravedere il futuro. Strano solo che, in questa overdose di passato, nessuno usi più il tempo trapassato.

4 commenti:

  1. confesso contrita e un po' vergognosa che il libro non l'ho ancora acquistato (per la verità nella libreria della coop non l'ho trovato, e non ho ancora avuto il tempo di andare in una libreria "vera"!), ma prometto che presto o tardi lo farò... di sicuro diventerò una seguace del tuo blog!
    Elena

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  2. Sì che ti faremo bloggare: sono troppo curioso di capire se il guinzaglio lo vuoi togliere, o solo cambiarlo per uno che ti sta più simpatico... Chau! Pablo

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  3. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  4. Trapassato, passato trans, attraverso la vita, cioè morto? Oppure tra passato e ... qualcos'altro? un qualcosa che si stenta a trovare, o solo a identificare, per identificarvicisi, oggi ? (a proposito, come gira già 'sto contorto riflessivo di moto a luogo dell'anima?). Ci si aggrappa, forse. Come ai rami degli alberi faceva il barone rampante, libero nello spiccare il balzo dalla terra, ma poi agguinzagliato dalle privazioni e costrizioni che una vita sugli alberi necessariamente comporta, una volta salitivicisisù. Ma in fondo autonomia quello vuol dire, non assenza di regole (a-nomia?) bensì darsene di proprie, crearsi un proprio codice da vinci, da grattare di tanto in tanto, per vedere cosa che succede lì sotto.

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